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Lucio Battisti - Don Giovanni

Жанр: Progressive-Rock
Год выпуска диска: 1986
Производитель диска: Italy
Аудио кодек: FLAC
Тип рипа: tracks+.cue
Битрейт аудио: lossless
Продолжительность: 36:00

1 Le Cose Che Pensano
2 Fatti Un Pianto
3 Il Doppio Del Gioco
4 Madre Pennuta
5 Equivoci Amici
6 Don Giovanni
7 Che Vita Ha Fatto
8 Il Diluvio
Код:
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EAC extraction logfile from 8. June 2009, 23:32

Lucio Battisti / Don Giovanni

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Fill up missing offset samples with silence : Yes
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Null samples used in CRC calculations       : Yes
Used interface                              : Installed external ASPI interface
Gap handling                                : Appended to previous track

Used output format              : User Defined Encoder
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TOC of the extracted CD

     Track |   Start  |  Length  | Start sector | End sector
    ---------------------------------------------------------
        1  |  0:00.33 |  4:25.50 |        33    |    19957
        2  |  4:26.08 |  4:55.02 |     19958    |    42084
        3  |  9:21.10 |  4:14.50 |     42085    |    61184
        4  | 13:35.60 |  4:28.73 |     61185    |    81357
        5  | 18:04.58 |  3:53.45 |     81358    |    98877
        6  | 21:58.28 |  3:40.55 |     98878    |   115432
        7  | 25:39.08 |  4:01.72 |    115433    |   133579
        8  | 29:41.05 |  6:24.23 |    133580    |   162402

Track  1

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Track  2

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Track  3

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Track  4

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Track  5

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Track  6

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Track  7

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Track  8

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Lucio Battisti: Don Giovanni (Numero Uno, 1986)

The songs in "Don Giovanni" sound lopsided and aloof. They obey the synth-pop rule in a lunar, idiosincratic manner. They seem totally lifeless, artificial, made of plastic despite some sparse velvety warmth in the basslines, in the saxophone seductions and in the rainy, breathy synth tides. The melodies are quirky, meandery, indubitably "pop" and refined but hardly catchy. The lyrics, well, the lyrics are a closed book: almost nonsensical, blatantly post-modern and sardonic, they're captivating nevertheless and - once you've partly got into them - even evocative. With its jaunty and polished synth-funky grooves and its obliterating lyrics framed into the melodies with a total disdain for the meter, "Don Giovanni" is one of the most abstract and undeciphrable works of Italian pop music.

Lucio Battisti was the most celebrated Italian pop artist of the 60s/70s. "Don Giovanni" is his first collaboration with lyricist Pasquale Panella, and a complete departure from his previous style, which had become more and more experimental but never appeared so tough and detached before.
Recensione di Eneathedevil, (Friday, April 15, 2005)

#777Conclusa ormai la collaborazione con Mogol, Battisti si cimenta in uno studio di ricerca musicale per ridefinire le sue nuove "vedute", dando alle stampe nel 1982 l'infelice "E Già", opera scritta a quattro mani con la moglie Grazia Letizia Veronesi (i maligni, nemmeno troppo maligni, dicono che le mani furono due, le sole di Lucio), ove la povertà lessicale e in parte strumentale si esplica in un disco frammentario e irriducibilmente new-age; critica e pubblico, di comune accordo, non accolgono di buon grado il nuovo lavoro battistiano, tanto distante dalle opere del periodo mogoliano: in "E Già" Battisti non viene riconosciuto più.

Nella presunta aporia di mezzi e idee, animato da grandi intenzioni, Lucio incontra alcuni mesi dopo un curioso personaggio della noblesse letteraria partenopea, un certo Pasquale Panella, "poeta maledetto" schivo e geloso del proprio lavoro quanto Battisti: alcuni lavori di Panella piacciono al cantautore, che incuriosito, vuole tentare la via della sperimentazione attraverso l'uso complesso della parola. Sotto felici auspici esce così, a 4 anni di distanza dall' ultimo lp, il primo lavoro firmato da Battisti e Panella, prima opera di un connubio che darà alla luce altri quattro lavori: il viscido e penetrante "Don Giovanni". La copertina del cd si presenta in veste fredda e anonima, troppo glaciale per potere incoraggiare i fan abituali dell' artista di Poggio Bustone: dietro, i curiosi testi del disco, che Panella ha confezionato per Battisti prima che quest'ultimo mettesse mano al lavoro. E' questa una delle interessanti innovazioni dei lavori battistiani: non più le ispirazioni di Mogol quando quest'ultimo ascoltava le musiche create da Lucio, bensì la completa sottomissione del cantante al paroliere, con l'adattamento di Battisti ai voli pindarici di Panella.

L'esordio non promette male: "Le Cose Che Pensano" è una canzone ruffiana, avvolgente al punto da farci credere che parli di qualcosa di incantevole, tanto struggente da far pensare che Lucio non abbia poi rotto del tutto col suo passato musicale; sembra "Le Cose Che Pensano" un pezzo incantevole, ma a ben vedere e sentire parla di teste che rotolano, di sangue, di tutto ciò che pare amore senza esserlo. E' questa la nuova poetica di Battisti, il completo rifiuto di parlare del pettegolezzo amoroso mogoliano in favore di una ridicolizzazione, attraverso la parola, di tutto ciò che è emozione e dolore: la scelta del macabro, del faceto, del motteggio individuano una nuova dimensione dell'amore, angosciosa quanto mortificante, visione che non può che portare il sentimento a collassare su sé stesso autodistruggendosi.

Insomma, se il Molleggiato dice di non saper "parlar d'amore", Lucio non "vuole" più parlar d'amore. L'orecchio dell'ascoltatore, sobillato perfidamente dalla prima traccia dell'album, inizia a scoraggiarsi con la successiva "Fatti Un Pianto", pezzo bislacco tra parvenza di sentimento e arte culinaria, ove si enuclea in maniera netta l'interesse panelliano per il gioco di parole, arma di divertimento, forse di sfoggio dinanzi alle modeste possibilità dell'uditorio.
Accusato spesso di volersi prendere gioco dell'ignoranza del pubblico il poeta napoletano si ripete nella quinta traccia dell'album, "Equivoci Amici", ove l'onanismo cerebrale si dilata abissalmente nell'elencazione parossistica di "casi umani" che a mo' di equivoci si "spaesano" invece di sposarsi, lavorano "all'estro" invece che all'estero, mettono "plancia" e non pancia: mero vanto ornamentale su motivo accattivante in perfetto stile anni '80.
A questo punto, dopo le parentesi rappresentate dalla macchinosa "Il Doppio del Gioco" e l' incomprensibile "Madre Pennuta", l'orecchio del fan di Battisti è ormai decisamente straziato, ampiamente basito da quel nuovo calderone di parole e impressioni che pare non appartenere al cantante di Poggio Bustone.
La title-track, sesta traccia, segna la fine del percorso intrapreso: attraverso lo svilimento della figura del Don Giovanni Battisti giunge a dimostrare che non è più possibile provare e parlare la lingua dell'amore; "Qui Don Giovanni, ma tu dimmi chi ti paga", dice il protagonista a chi si presume essere una prostituta: l'amore ridicolizzato, prodotto di consumazione mercenaria.
Dopo l'acustica "Che Vita Ha Fatto", ecco sopraggiungere "Il Diluvio", ineluttabile conclusione di un disco che non può che diluirsi nell'uggiosa incertezza di un temporale.

Il nuovo Battisti, la nuova sfida sperimentale attraverso l'uso virtuosistico della parola e l'attenzione nei confronti delle sonorità elettroniche. Detto tra noi, caro fan del Battisti degli anni '70, conserva comunque "Don Giovanni", anche se non hai voglia al momento di riascoltarlo: un giorno capirai, voglio sperare, che non è solo fumo.
"Il vero è nella memoria e nella fantasia".
Recensione di bogusman, (Friday, April 15, 2005)

Don Giovanni (1986), più che come una rottura rispetto al passato si presenta come una rinnovata sintesi di un percorso di esperimenti; siamo nel momento più creativo del processo di decostruzione del linguaggio canzone che era già iniziato negli anni '70 e che avrà il suo punto di non ritorno nelle devastate macerie pop del sublime "Cosa Succederà Alla Ragazza" (1992).
Il nuovo album appare nei negozi 4 anni dopo "E Già" e subito si capisce come questo periodo sia servito a elaborare la radicalità delle sperimentazioni contenute nell’LP precedente: ai gelidi suoni elettronici che nel 1982 tanto avevano scandalizzato i nostalgici, vengono affiancati quelli reali di una vera orchestra in un impasto dal gusto decisamente ironico e postmoderno perfettamente in linea con i testi di Pasquale Panella.

Il linguaggio del nuovo autore frulla infatti continuamente scherzetti da settimana enigmistica (nel testo del brano che dà il titolo all'album c'è la soluzione del rebus della copertina), citazioni sparse di varia natura, nonché riferimenti al nuovo rapporto simbiotico nato fra Battisti e il suo Doppio, Panella (l'artista non sono io, sono il suo fumista), con un'ironica consapevolezza della portata rivoluzionaria dell'opera (dopo di noi, il diluvio).
Grosse novità si trovano anche nella composizione dei brani che spesso sono strutturati secondo una tecnica a incastro simile al cut-up che stravolge completamente i classici rapporti fra strofa, ritornello e inciso.
Le canzoni sono anticonvenzionali e liberate da schemi formali, fra ritmiche sintetiche e spigolose, e improvvise aperture orchestrali degne del passato più sinfonico e tradizionalmente melodico del Nostro.
L'umore dei brani scivola senza soluzione di continuità fra atmosfere vagamente cinematografiche/inquietanti e momenti ora divertiti ora più lirici e più in sintonia con la tradizione della ballata battistiana, senza che però le citazioni si facciano mai pesanti o che spunti un senso di già sentito.
È forse questo il regalo più grande che è stato capace di fare Don Giovanni a chi lo ha ascoltato fin dalla sua prima uscita: non assomigliare a nessun'altro album né di Battisti né di altri, né del passato, né degli anni successivi.
Si tratta di un'opera figlia del suo tempo, è ovvio, e quindi certe sonorità possono apparire datate, anche se ad ogni nuovo ascolto è impossibile (almeno per chi scrive) non rimanere sedotti dalla riscoperta di una dissonanza, di un contrappunto ritmico, o di un intarsio strumentale che era sfuggito all'ascolto precedente. Ed è altrettanto impossibile negare l'originalità del progetto, tanto che nessun altro, nemmeno Battisti, ha saputo sviluppare pienamente le idee presenti in questo disco con altrettanto equilibrio fra densità e leggerezza.
Recensione di Viva Lì, (Saturday, March 18, 2006)

Dopo l'esito disastroso di "E già" (1982) Battisti comincia a collaborare seriamente col poeta Pasquale Panella. La loro collaborazione non durerà molto, appena otto anni, ma sarà intensa e gratificante, preziosa e interessante. Da questa unione nascerà, come primo sostanziale epigono, "Don Giovanni", l'album forse più sopravvalutato dell'intero periodo panelliano. Battisti e Panella hanno un solo scopo: rompere col passato, fondare il presente, costruire il futuro. Rompere cioè con gli schemi classici e canonici della tradizione culturale italiana (a quei tempi Albano trionfava a Sanremo con "Nostalgia canaglia"), avvicinarsi alle atmosfere americane punk e dance; utilizzare, il meno possibile, strumenti musicali classici e melodici (chitarre, pianoforti, violini). L'impresa è ardua e si concretizzerà solamente qualche anno più tardi, esattamente nel 1990 con "La sposa occidentale" e poi ancora meglio nel 1992 con "Che cosa succederà alla ragazza".

Per il momento c'è "Don Giovanni", album di rottura ma non troppo. Le musiche sono ancora abbastanza classicheggianti (i pianoforti dominano dalla prima all'ultima canzone), ma le parole sono uno shock: complesse, ermetiche, difficili, oscure, ricercate, arcaiche, sono in molti a non capire cosa stia cantando esattamente Lucio. La stessa "Don Giovanni" è ermetica al massimo livello, difficilissima da comprendere, decifrabile (forse) solo al decimo ascolto. L'atmosfera è vagamente retrò condita però da quel pizzico di strafottente modernità che sarà la chiave di volta della collaborazione fra Battisti e Panella. Suoni arcaici dunque, ma anche suoni estremamente familiari: a melodie spesso riservate si contrappongono slanci orchestrali degni del miglior Battisti anni Settanta (le lunghe aperture musicali di "Le cose che pensano") mentre le melodie scorrono lisce senza pesantezze o incertezze. "Don Giovanni" è un brano bellissimo, forse la miglior canzone di tutti gli anni Ottanta. Parte pianissimo, quasi senza nerbo, ma bastano due accordi e una voce sempre linda e cristallina per alzare il tono e concludere in bellezza con una interessantissima sovrapposizione di voce una canzone delicata e malinconica. Don Giovanni è un uomo ferito, probabilmete un ex gagà: solo e spiantato, stanco e vissuto, ormai adatto a qualsiasi impresa (purchè umiliante: "Rivesto quello che vuoi, io son l'attacapanni") decide di distaccarsi dal mondo, e dalle cose terrene, dopo aver incontrato, per l'ultima volta, una puttana di quartiere ("Qui Don Giovanni ma tu, dimmi chi ti paga"). Il brano però, non è tutto qua: Panella inserisce nel testo alcuni spunti polemici (evidentemente suggeriti da Battisti) circa l'operato, a volte troppo melodico, di Mogol: "Che ozio nella tourneè, di mai più tornare, nell'intronata routine del cantar leggero, l'amore sul serio". Insomma, un "Don Giovanni" puramente inventato non privo di scandagliature autoriali pressochè referenziali. Molto incisivo anche "Madre pennuta" ennesima variazione allegorica sul tema della perdita e della distanza vitale. Grandi slanci poetici, immensi slanci musicali: pochissime concessioni allo sperimentalismo, moltissime concessioni alla classicità. Ma è una classicità estremamente moderna, assai diversa da quella proposta, molto fiaccamente, in Italia da Albano e i Ricchi e Poveri, si tratta di una musicalità innovativa in quanto prevede furibondi accenni melodici mischiati a furibondi accenni misticheggianti.

Una destrutturazione canora e musicale che non avrà, purtroppo, epigoni: da "L'apparenza" (1988) a "Hegel" (1994) Battisti e Panella (prima con l'orchestra, poi con i suoni elettronici) taglieranno e cuciranno a piacimento la musica per scavarne fino in fondo l'anima e lo spirito. L'impresa sarà titanica, e solo a Battisti potrà riuscire. "Don Giovanni" è comunque il primo di questi esperimenti, e dunque è il meno riuscito. Molte canzoni sembrano viaggiare su binari leggermente scontati ("Equivoci amici", "Il diluvio") e il finale vira verso toni ingombranti e pomposi. Nessun problema: basterà aspettare quattro anni per ascoltare la vera rivoluzione musicale (quattro anni, credetemi, non sono molti). "Don Giovanni" intanto, balza al primo posto nella hit parade. Ci starà per pochissimo tempo e sarà, per Battisti, l'ultima volta. Peccato: le copertine bianche (classico esempio di come si possa, oltre che creare musica minimalista, dipingere copertine scarne ma essenziali) avrebbero sicuramente meritato più fortuna e più successo. Forse, in futuro, saranno rivalutate e quindi, finalmente, amate.
L'album consigliato dai conduttori del Notturno Italiano, scelto tra i classici, le novità, le ristampe e le rarità.

#777Primo album del "nuovo corso" di Lucio Battisti, "Don Giovanni" stupì molti alla sua uscita, anno di grazia 1986: mai in Italia si era visto un artista pop cambiare improvvisamente rotta evitando scientemente il già detto, affrontando il mare profondo e oscuro della sperimentazione musicale e, soprattutto, affidando i testi delle canzoni a uno sconosciuto paroliere. Così Pasquale Panella, che fino ad allora aveva prestato le sue parole ad un cantante decisamente più leggero di Battisti, Enzo Carella, si trovò a dover sfidare un pubblico e una critica non dimentichi della poetica di Mogol, rassicurante e ormai familiare. Ma proprio i tratti oscuri, astratti e malinconici del poeta romano sono la cifra essenziale di quest'album fondamentale per il pop italiano, dove persino la grafica, nel suo minimalismo, esprime un mondo inedito per i fan di Battisti: architetture futuriste, muse inquietanti di un autore che cominciava a ripensare se stesso e la sua musica. Registrato a Londra, con la produzione affidata a Greg Walsh, il disco all'apparenza risulta freddino, data la precisione dell'incisone, ma di artificiale c'è poco, anzi la strumentazione è affidata interamente a strumenti acustici, e tra i musicisti spicca il nome di Gavin Wright, futuro direttore d'orchestra e solista di violino tra i più richiesti in Europa. Il tempo diede ragione al disco e Battisti ancora una volta mostrò la via: un pop fatto di sottrazioni, essenzialità, eleganti e minime sfumature.

Ugo Coccia
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